martedì 2 giugno 2009

cronache di un disastro

Dopo un faticoso viaggio arrivai a Dresda Bombardata. Più che altro ci ritrovammo nella periferia, in un paesino poco toccato dal bombardamento. Dico subito che mi trovai lì per mia spontanea volontà, non costretto da nessun ordine politico (ovviamente ci dovrebbero essere tante precisazioni da fare: in effetti non riesco a capire dov'è la mia libertà quando i margini di scelta sono tanto limitati. Scelgono tutto e ci lasciano la libertà di dormire proni o supini). Dovevo infatti sostenere un veloce addestramento per il PzKw III, abbastanza innovativo da richiedere almeno due giorni di esercitazioni (con il viaggio, io me ne presi tre). Dresda Bombardata (periferia) è stata scelta per ovvie ragioni, e cioè che dovremo esercitarci a sparare in un ambiente cittadino, distruggere case e non ferire nessuno.

Dovevo quindi raggiungere il campo addestramento. La cosa che mi colpì inizialmente (ce ne furono molte che mi colpirono, ma questa...) era la terribile assenza di persone. Non assenza totale: di tanto in tanto vedevo militari in giro nei loro mezzi, ma non li fermai. Impiegai molto tempo a capire dove dovessi dirigermi, ma non li fermai, ma non seppi neanche il perché. Vi dirò ora il motivo: dopo tutto quel viaggio mi andava di camminare e di stare da solo. Questo motivo è falso.

A parte queste apparizioni (e qualche militare appiedato, con cui non scambiai parole ma solo gesti veloci) si faceva notare la mancanza di persone. Ho dimenticato di dire che il luogo prescelto era tutto sommato in condizioni buone. A parte qualche crepa gli edifici erano in piedi. Le ampie strade dividevano una scuola da un ospedale; più in avanti qualche casa, ma silenziosa. Dico ciò per farvi capire che questo paese in cui ci trovavamo (dico ora che era un paese di periferia con un nome proprio, ma non ricordo tale nome, e l'ho saputo per pochi giorni) era sufficientemente intatto da far immaginare movimento, che però era assente. Io mi muovevo in quel luogo cercando il punto di ritrovo; non dico altro su questo, ma è stata la cosa che mi colpì inizialmente.

La tenda in cui ci accampammo era all'interno grigia, con delle catene che pendevano dal soffitto e si attaccavano ai lati. C'erano molti altri soldati, tutti semplici (io ero sottoufficiale) e più giovani di me. Avevano sistemato alcuni indumenti sul soffitto, le valigie sulle brande non occupate.
Mi era divenuta chiara una sensazione: tutto era grigio, compreso me stesso.
Dopo aver passato qualche ora di inutili chiacchiere con i miei compagni di tenda mi resi conto che per me loro erano fantocci, e per loro io tale ero. Quando mi stesi per riposare li sentivo parlottare, e a parte quello c'era il silenzio. Non capii cosa dicessero e non mi interessava.
Io avevo già allora una forte personalità e credo di essere una persona interessante. Mentre in genere gradisco mettermi in mostra appena capita l'occasione, con qualche metodo o qualche altro, questa volta non ne avevo il minimo interesse. Loro mi giudicavano una persona poco interessante e io giudicai loro persone poco interessanti. Io ero interessante, e nulla mi fa escludere che loro non fossero a loro volta interessanti (ma non credo, giacché ho difficilmente incontrato persone interessanti come me). Insomma, eravamo grigi uno per l'altro, fantocci senza coscienza che a stento comprendevano dove si trovavano (non interessandosi di comprendere).

Il vento soffiava nella tenda e creava un effetto particolare che non saprei come descrivere. Uscii fuori e attraversai il campo. Ho dimenticato di dire che il campo era per la maggior parte vuoto: una decina di tende, ma solo la nostra era occupata (eravamo 6 fantocci su 8 brandine per fantocci per tenda). Poi c'era quello del servizio (cuochi e organizzatori generali che ora non sto qui a spiegare il compito) e basta.
Quindi uscii nel campo e attraversai le tende. C'era un cancello e dopo di esso un ampio panorama. Si vedeva un altro paesino e poi Dresda. Sia quest'ultima che il paesino erano completamente rasi al suolo. Sembrava ci fosse stato un terribile terremoto. Non vidi l'ora di finire quei tre giorni ed essere mandato da qualche parte. Poi non ci pensai più.

Il pomeriggio vidi quelli del servizio giocare a palla tra le tende.


La sera arrivò altra gente, interessati all'addestramento come me. La cena era buona. Nel mio tavolo c'era uno di quei soldati nuovi e dopo un po' di stanca conversazione indicò un tavolo in fondo e chiese chi fossero i vecchi seduti lì, e se questo fosse posto per vecchi (ovviamente era sarcastico). Li notai e seppi di averli già visti senza chiedermi nulla. Un altro soldato ci disse che erano sfollati, che non volevano tornare nella loro casa per paura dei bombardamenti e che li avevamo accolti qui.
Aggiunsi che in effetti avevamo a disposizione tantissime tende.
Quelle due persone dovevano avere ottant'anni a testa.

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