L'estinto in questo post nota alcune incongruenze nel mio ragionamento. Devo ammettere che ho trovato le sue argomentazioni "forti" (e lo ringrazio per l'attenzione che mi dedica); nonostante questo, continuo a credere nella bontà del mio metodo. Intendo spiegarne i motivi, e in tal modo ne approfitto per ribadire alcuni concetti già proposti e proporrò anche idee che ritengo per lo meno originali.
Prima di iniziare sottolineo che il mio ragionamento vorrebbe essere leggermente diverso dalla scommessa di Pascal. Pascal, mi sembra di ricordare, si riferiva ad un tipo di divinità particolare (cioè, scommetteva di credere ad un Dio cristiano), che richiedeva diversi sforzi (ad esempio "andare a messa la domenica") per assicurarti la beatitudine eterna. Tra l'altro questi "sforzi" (Eventi con valore negativo, cioè EvNeg) possono essere tanto numerosi da mettere in dubbio l'ovvietà del vantaggio di una scommessa del genere. Messo nei termini del Metodo d'Indagine, gli EvNeg porebbero avere un peso maggiore dell'EvPos (andare in paradiso e godere per sempre, probabilmente). La scommessa di Pascal sottovaluta gli EvNeg, dicendo che credere in Dio è una scommessa che si vince sempre.
[dopo aver scritto questo post ho fatto un salto su wikipedia. Alla pagina "Scommessa di Pascal" dice:
"Dio non esiste ed io ho creduto: x (non ci ho perso ne guadagnato);"
Questo è un errore quando credere in Dio e sperare nella ricompensa richiede anche diversi altri sforzi. Come ho argomentato sopra, questi piccoli sforzi potrebbero, sommandosi, essere abbastanza negativi da far risultare quel "Dio non esiste e io non ho creduto" un aspetto fortemente negativo, abbastanza da falsare tutta la scommessa]
Io intendevo parlare della credenza puramente FINE A SE STESSA dell'esistenza di Dio, quindi svincolata dagli obblighi che in genere, in pratica, le religioni impongono per la ricompensa. Comunque potrei sbagliarmi, e Pascal potrebbe avvicinarsi alla mia concezione più di quanto creda (lui).
Ora andiamo agli argomenti di Ivo. C'è un argomento debole di cui mi occupo subito.
Ivo afferma: "Inoltre, è altamente improbabile che uno sconosciuto abbia versato a mia insaputa un milione di euro sul mio conto corrente, ma l’esistenza di questo milione di euro sarebbe per me molto importante; non per questo, però, credo nell’esistenza di questo milione."
Credo che questo sia proprio ciò che io ho affermato. Quello che ho fatto è solo specificare alcuni parametri su cui tu ti basi per giudicare questa credenza. Difatti, tu associ un valore altissimo ad un milione di euro, ma la probabilità che qualcuno l'abbia versato sul tuo conto è COSI' BASSA da non bilanciare il valore associato.
(segue un esempio in cui si cambia una sola variabile, p(Ev), mentre Val(Ev) rimane costante.)
Immagina che io ora ti chiami e ti dica "ho appena versato un milione di euro sul tuo conto. In bocca al lupo!". Questo evento modifica il valore che tu associ al milione? No. Ne modifica solo la p(Ev), il che ovviamente modifica il risultato totale (cioè Credere nell'esistenza di un milione di euro sul tuo conto in banca). Se ritieni che io sia una persona molto seria potresti essere abbastanza persuaso da fare un tentativo ed andare in banca per verificare il conto. Immagina che quella telefonata provenisse da un tuo parente. Come modificherebbe questo la p(Ev)?
Questo ragionamento è molto ovvio, e infatti forse non ho afferrato il nocciolo della contestazione. Associ a questa argomentazione un'altra argomentazione che mi ha tenuto abbastanza impegnato, e cioè quella che chiamerò l'Argomento dei calzini di Vaaal. Questo, insieme al prossimo, è l'argomento forte.
ARGOMENTO DEI CALZINI DI VAAAL
L'argomento dei miei calzini si basa sull'ipotesi che Ivo non abbia dubbi sull'esistenza dei miei calzini, ma ovviamente non gli interessa che esistano o meno. Dall'equazione p(Ev)*Val(Ev), dove p è vicino al massimo (1), Val è 0, il risultato sarebbe 0->Ivo non dovrebbe credere all'esistenza dei miei calzini (che, con p=1 è una evidente assurdità)->il mio metodo è errato.
Come già detto ho ragionato molto su quest'argomentazione, e sono giunto ad un risultato interessante ed inaspettato (quindi ringrazio ancora Ivo).
Rielaboriamo il concetto. Innanzitutto, in che modo Ivo è consapevole dell'esistenza dei miei calzini? Probabilmente ha fatto esperienza di essi. Li ha toccati, li ha odorati e li ha gustati. Più probabilmente il solo guardarli gli sarà bastato per constatarne l'esistenza. Ivo dice che, nonostante questo, il valore che associa all'esistenza dei calzini è zero. Ne è sicuro?? Questo vuol dire che, secondo Ivo, i calzini potrebbero benissimo non esistere, e per lui non cambierebbe niente! In realtà cambierebbe molto, perché se i calzini non esistessero Ivo dovrebbe completamente rivalutare i propri metodi d'indagine, dovrebbe come minimo fare qualche esame alla vista o supporre di avere delle allucinazioni. Questo dimostra che per Ivo non è indifferente (cioè, non ha valore 0) che i miei calzini esistano o meno.
[nota: se invece Ivo vuole proprio insistere che per lui l'esistenza dei miei calzini assume valore 0, allora deve anche ammettere che i suoi metodi d'indagine abbiano uno scarso valore, in quanto può facilmente rigettarli senza darsi tanta pena (anzi, dandosi 0 (zero) pena). In tal caso (modificando, cioè, le premesse iniziali sulla certezza dell'esistenza dei miei calzini) dire che Ivo non crede all'esistenza dei miei calzini non è più un'assurdità.]
In genere, mi sembra di capire che probabilità molto alte implichino l'assegnazione di un valore diverso da zero all'evento considerato. Detto in termini comuni, se riteniamo qualcosa molto probabile, in un modo o nell'altro l'abbiamo già valutata. Non ci avevo pensato prima, ma ora mi sembra ovvio. Per lasciare da parte i miei calzini, immaginate che uno scienziato dopo anni di numerosi e fruttuosi esperimenti riesca a confermare con una certa sicurezza un evento. Davvero pensate che questo scienziato possa affermare che l'esistenza di questo evento abbia per lui un valore zero, e cioè che per lui questo evento potrebbe anche non esistere, e questo non gli cambierebbe nulla? Io no.
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La seconda argomentazione forte è in realtà ambigua; infatti, non afferro la correlazione tra questa argomentazione e il mio metodo. Comunque, ho trovato uno spunto interessante.
Ivo afferma che è paradossale dire "Dio non esiste, ma io credo in Dio". Questo sarebbe il paradosso di Morris, che io non conoscevo prima di oggi.
Io non affermo ovviamente che credere nell'esistenza di Dio implichi l'esistenza di Dio. Il mio è solo un modo per mettere in chiaro i termini del discorso, e cioè per capire su cosa si basano le persone per valutare (magari inconsciamente) il loro grado di credenza sulle cose.
Sia quel che sia, nel prossimo post cercherò di dimostare, forse con una certa superbia, l'inconsistenza del paradosso di Morris. Ok, non ridete, almeno non ora.
domenica 15 marzo 2009
Una seria risposta a L'estinto
Pubblicato da Vaaal alle 20:20
Etichette: Argomento dei calzini di Vaaal, Credenze, Credere in Dio, Dio, Esistenza di Dio, Metodo d'indagine, Morris, Paradosso di Morris, Pascal, Scommessa di Pascal
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5 commenti:
Il problema è capire cosa intendiamo per credere, se non dai una definizione di questo non possiamo seriamente pensare di poter valutare qual'è il valore degli eventi negativi associati al credere in Dio.
Ragioniamo per ipotesi.
Immaginiamo che esista la possibilità di ottenere l'immortalità attraverso la scienza. Immaginiamo che questo si otterrà solo studiando le staminali. Immaginiamo che il nostro credo ci vieti la ricerca sulle staminali. L'evento negativo associato al credere in Dio diventa esattamente uguale all'evento positivo che ci sarebbe se tale Dio esistesse (immortalità).
Secondo me, come hai impostato il ragionamento, hai ragione solo se si accetta la contraddizione. Solo, cioè, se si può avere un credere diverso dall'agire.
Ciao Viandante. Mi dispiace, ma non ho afferrato il tuo ragionamento.
"Secondo me, come hai impostato il ragionamento, hai ragione solo se si accetta la contraddizione."
Quale contraddizione?
Se l'unico motivo per cui crediamo in Dio è l'immortalità, e la probabilità che Dio ci porti l'immortalità è uguale alla probabilità che le staminali ci portino l'immortalità, e il valore che diamo ad una immortalità in vita è uguale al valore che diamo all'immortalità nell'aldilà; se tutto questo è vero, allora è indifferente per il nostro soggetto credere in dio o nelle staminali. Non trovo nulla di male in ciò, e non vedo alcuna contraddizione.
precisazione: in pratica è difficile che qualcuno creda in Dio solo per ottenere l'immortalità. Inoltre la valutazione della probabilità di ottenere l'immortalità in un modo o in un'altro cambia da persona a persona. Quindi più probabilmente la bilancia penderà da un lato o dall'altro, in corrispondenza delle preferenze del soggetto. Infine, potremmo valutare di più una immortalità in paradiso che una immortalità su questa terra. Mi sembra giusto, accettabile, naturale.
Dov'è il problema in questo?
(ripeto: potrei non aver afferrato il senso del tuo ragionamento)
Il senso è che Pascal ha ragione solo se credere in un dogma non si traduce anche in un comportamento diverso nella realtà.
Se la religione ci chiede di adempiere degli obblighi, quegli obblighi sono da considerare un aspetto negativo nel caso dio non esista.
L'evento negativo del credere in Dio (o nella teiera), potrebbe quindi essere di molto maggiore dell'evento positivo soggettivamente associatogli. Ripeto, tale credo potrebbe modificare l'agire e questo agire potrebbe portare a progressi nella conoscenza importanti.
Per quello che mi riguarda, è più oggettivo calcolare l'evento negativo portato nell'agire dal credere in dio che quello positivo associato alla sua esistenza. Pensa a tutti i giovani che diventano monaci o preti, pensa che spreco se dio non esistesse, pensa quante menti magari geniali l'umanità si è persa in questo modo.
Se mi dicessero:
"Se credi nella teiera nell'universo andrai in paradiso. Devi solo credere, nient'altro".
Tralasciando una serie di considerazioni, potrei anche dire di sì perché in fondo non ci sono eventi negativi di sorta e l'evento positivo è elevato.
Ma mi pare che al credere in Dio siano associati costi molto elevati. Questo la rende una cosa poco ragionevole.
Complimenti per la risposta, molto interessante.
Provo ad articolare meglio la mia obiezione.
Io mando il mio cv per due posti di lavoro. Uno pagato molto bene, l'altro solo discretamente.
Le probabilità che io venga assunto è la stessa per entrambi i lavori.
È razionale che io speri di venire assunto nel posto con l'ottimo stipendio, mentre non ha senso che io creda, nel senso che sia convinto, che verrò assunto nel posto con l'ottimo stipendio rispetto all'altro.
PS: Sui tuoi calzini: sono convinto che tu li abbia perché tutti indossano i calzini, almeno in certi periodi dell'anno. Se non li porti perché da te fa sempre caldo o perché sei un frate che gira sempre in sandali... buon per te, ma a me non camba nulla! ;-)
Ciao Ivo, il tuo argomento è molto simile a quello di ENTJ, e in effetti non so bene cosa rispondere.
L'idea è che ogni evento debba essere giudicato tramite parametri particolari. Nel caso di Dio è la sua probabilità di esistere per il valore che assume per noi; nel caso di altri eventi (ENTJ faceva l'esempio dello scienziato) si dovrebbe giudicare tramite altri parametri.
E' una obiezione debole, quindi niente... : D
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