György Ligeti (1923-2006)
l'escalier du diable
Tra le composizioni che, sempre più prepotentemente stanno entrando nel repertorio pianistico, gli studi di Ligeti sono quelli che catalizzano l'attenzione di concertisti di professione e giovani pianisti. Raramente si presentano pezzi di musica moderna riconosciuti facilmente da melomani enciclopedici e, contemporaneamente, da ascoltatori un po' meno informati: i pezzi di Ligeti sono proprio di questo tipo. Una musica gustosa e nel contempo virtuosa, intellegibile ma profondamente complessa.
Le tre raccolte di studi (1985, 1994, 2001) continuano la tradizione di "studio" alla maniera di, ad esempio, Chopin o Liszt. Non bisogna confondere uno studio con un esercizio: le finalità dello studio sono non semplicemente didattiche, ma soprattutto artistiche. Lo strumentista che si cimenta in studi non solo migliorerà tecnicamente, ma si ritroverà con dei pezzi eseguibili in concerti o in concorsi. Tra questi l'escalier du diable riveste un ruolo particolare: sta diventando sempre più velocemente il pezzo vituosistico di questo decennio. Il perché non è facilmente descrivibile con parole: è più facile ascoltarlo.
Questa versione, tecnicamente perfetta (probabilmente manipolata al computer, ma mi interessa ben poco!) potrebbe far storcere il naso per il montaggio (che in realtà non mi dispiace). Anche il commento iniziale -immagina: sei all'inferno, e vuoi uscirne- aiuta l'ascoltatore. Vediamo di capirne qualcosa di più.
Iniziamo dal macroscopico, e rintracciamo due caratteristiche.
1) La "scala del diavolo" è una scala cromatica, cioè costituita dalla successione di tasti bianchi e neri* del pianoforte. Possiamo vedere tutto il pezzo come l'analisi dell'effetto che tale scala può creare, eseguita a velocità ora fulminea ora statica;
2) Il pezzo si basa su configurazioni ritmiche particolari. Chi ascolta il pezzo per la prima volta e non è in confidenza con le nuove tendenze musicali è probabile che, almeno per i primi secondi, individuerà il genere come "jazz", proprio a causa di queste configurazioni ritmiche. Lo sperimentalismo di questo Ligeti si basa invece sulla sovrapposizione di ritmi africani. I ritmi sono totalmente irregolari, cioè cambiano schema frequentemente. Questo vuol dire che non potremo battere il tempo: sentiremo solo il fluire di questa scala, continuamente.
Ora vediamo cosa succede durante la composizione che, secondo la partitura, dovrebbe durare circa 5'16''. Indicherò il minutaggio seguendo l'esecuzione di Anderson.
Tutto il pezzo è una continuo spostamento verso l'acuto. Le diverse sezioni si differenziano all'interno per ritmo, intervalli, sonorità e durata delle note: tutte però hanno come tendenza strutturale proprio questo innalzamento, che viene frustrato di continuo da precipitazioni verso il grave. In genere, come noterete già dopo i primi secondi, il movimento ascendente corrisponde anche ad un aumento di dinamica (durante la partitura arriviamo addirittura ad un fffffff!).
Dopo le prime "scalate e cadute" formate da più linee cromatiche intersecanti, notiamo dei frammenti ascendenti (59''): sono sempre cromatici, ma non strutturati troppo rigidamente. Per il loro contorno e per il fraseggio li percepiamo quasi come degli stralci melodici. Segue una complicatissima (ma molto breve) sezione di completo "caos organizzato", con ritmi diversi tra le due mani che creano una percezione di disordine e alienazione (1'12''). Il vero climax si raggiunge quando, dopo vari tentativi, arriviamo all'acuto: la ripetizione ossessiva dei tasti alti del pianoforte, ritmi irregolari tra le due mani, l'indicazione "sempre tutta la forza, feroce", nonché la difficoltà ad eseguire tutto in staccato, crea un effetto di fatica, di "ESTREMO", che ci conduce in una nuova sezione (2'19''), caratterizzata dall'immobilità di accordi "ruvidi, con tutta forza", al "risuonare selvaggio di campane", effetto creato tramite la sovrapposizione di tre moduli (i due acuti che imitano vere e proprie campane, il terzo che funge da sfondo sonoro) a ritmo rigorosamente ineguale tra loro. Ritroveremo questi accordi ancora dopo :si insinuano nella figurazione principale, la sovrastano, se ne prendono possesso (da 3'17'' a 3'45''). Un vero attimo di pausa (estremamente significativo, una sorta di buco nero della dinamica impazzita appena ascoltata), e poi il finale: "come campane, gong, tamtam".
Il risuonare degli ultimi accordi ci conduce lentamente al silenzio assoluto (indicato nella partitura "ad libitum"). E' questa una cifra stilistica ligetiana che, con 50 secondi di meta-silenzio, riesce a riportare il caos al suo stadio primitivo. Il fiato corto dell'esecutore arrivato al limite.
Silenzio-Musica-Silenzio.
EDIT 16 04 08: ho trovato una affinità tra la funzione "La scalata del diavolo" e questo studio di Ligeti. Per ulteriori informazioni visita questo post
*esempio: do, re b, re, mi b, mi, fa, sol b, sol , la b, la, si b, si
Libri utili:
Ligeti - Autori Vari
György Ligeti: Études pour piano, premier livre - Le fonti e i procedimenti compositivi - Alessandra Morresi
Lei sogna a colori? - Gyorgy Ligeti, Eckhard Roelcke
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Ligeti - Etudes pour piano - deuxième livre - SCHOTT
1 commento:
imparato molto
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