venerdì 28 dicembre 2007

Invito all'ascolto: Ligeti l'escalier du diable

György Ligeti (1923-2006)
l'escalier du diable

Tra le composizioni che, sempre più prepotentemente stanno entrando nel repertorio pianistico, gli studi di Ligeti sono quelli che catalizzano l'attenzione di concertisti di professione e giovani pianisti. Raramente si presentano pezzi di musica moderna riconosciuti facilmente da melomani enciclopedici e, contemporaneamente, da ascoltatori un po' meno informati: i pezzi di Ligeti sono proprio di questo tipo. Una musica gustosa e nel contempo virtuosa, intellegibile ma profondamente complessa.


G. Ligeti, foto di G. Vivien

Le tre raccolte di studi (1985, 1994, 2001) continuano la tradizione di "studio" alla maniera di, ad esempio, Chopin o Liszt. Non bisogna confondere uno studio con un esercizio: le finalità dello studio sono non semplicemente didattiche, ma soprattutto artistiche. Lo strumentista che si cimenta in studi non solo migliorerà tecnicamente, ma si ritroverà con dei pezzi eseguibili in concerti o in concorsi. Tra questi l'escalier du diable riveste un ruolo particolare: sta diventando sempre più velocemente il pezzo vituosistico di questo decennio. Il perché non è facilmente descrivibile con parole: è più facile ascoltarlo.

Greg Anderson esegue lo studio 13 -2° volume- "l'escalier du diable" di G. Ligeti



Questa versione, tecnicamente perfetta (probabilmente manipolata al computer, ma mi interessa ben poco!) potrebbe far storcere il naso per il montaggio (che in realtà non mi dispiace). Anche il commento iniziale -immagina: sei all'inferno, e vuoi uscirne- aiuta l'ascoltatore. Vediamo di capirne qualcosa di più.
Iniziamo dal macroscopico, e rintracciamo due caratteristiche.
1) La "scala del diavolo" è una scala cromatica, cioè costituita dalla successione di tasti bianchi e neri* del pianoforte. Possiamo vedere tutto il pezzo come l'analisi dell'effetto che tale scala può creare, eseguita a velocità ora fulminea ora statica;
2) Il pezzo si basa su configurazioni ritmiche particolari. Chi ascolta il pezzo per la prima volta e non è in confidenza con le nuove tendenze musicali è probabile che, almeno per i primi secondi, individuerà il genere come "jazz", proprio a causa di queste configurazioni ritmiche. Lo sperimentalismo di questo Ligeti si basa invece sulla sovrapposizione di ritmi africani. I ritmi sono totalmente irregolari, cioè cambiano schema frequentemente. Questo vuol dire che non potremo battere il tempo: sentiremo solo il fluire di questa scala, continuamente.

Ora vediamo cosa succede durante la composizione che, secondo la partitura, dovrebbe durare circa 5'16''. Indicherò il minutaggio seguendo l'esecuzione di Anderson.

Tutto il pezzo è una continuo spostamento verso l'acuto. Le diverse sezioni si differenziano all'interno per ritmo, intervalli, sonorità e durata delle note: tutte però hanno come tendenza strutturale proprio questo innalzamento, che viene frustrato di continuo da precipitazioni verso il grave. In genere, come noterete già dopo i primi secondi, il movimento ascendente corrisponde anche ad un aumento di dinamica (durante la partitura arriviamo addirittura ad un fffffff!).
Dopo le prime "scalate e cadute" formate da più linee cromatiche intersecanti, notiamo dei frammenti ascendenti (59''): sono sempre cromatici, ma non strutturati troppo rigidamente. Per il loro contorno e per il fraseggio li percepiamo quasi come degli stralci melodici. Segue una complicatissima (ma molto breve) sezione di completo "caos organizzato", con ritmi diversi tra le due mani che creano una percezione di disordine e alienazione (1'12''). Il vero climax si raggiunge quando, dopo vari tentativi, arriviamo all'acuto: la ripetizione ossessiva dei tasti alti del pianoforte, ritmi irregolari tra le due mani, l'indicazione "sempre tutta la forza, feroce", nonché la difficoltà ad eseguire tutto in staccato, crea un effetto di fatica, di "ESTREMO", che ci conduce in una nuova sezione (2'19''), caratterizzata dall'immobilità di accordi "ruvidi, con tutta forza", al "risuonare selvaggio di campane", effetto creato tramite la sovrapposizione di tre moduli (i due acuti che imitano vere e proprie campane, il terzo che funge da sfondo sonoro) a ritmo rigorosamente ineguale tra loro. Ritroveremo questi accordi ancora dopo :si insinuano nella figurazione principale, la sovrastano, se ne prendono possesso (da 3'17'' a 3'45''). Un vero attimo di pausa (estremamente significativo, una sorta di buco nero della dinamica impazzita appena ascoltata), e poi il finale: "come campane, gong, tamtam".
Il risuonare degli ultimi accordi ci conduce lentamente al silenzio assoluto (indicato nella partitura "ad libitum"). E' questa una cifra stilistica ligetiana che, con 50 secondi di meta-silenzio, riesce a riportare il caos al suo stadio primitivo. Il fiato corto dell'esecutore arrivato al limite.

Silenzio-Musica-Silenzio.

Penultima pagina dello studio proposto. I diritti sono della CE Schott
Clicca per ingrandire


EDIT 16 04 08: ho trovato una affinità tra la funzione "La scalata del diavolo" e questo studio di Ligeti. Per ulteriori informazioni visita questo post


*esempio: do, re b, re, mi b, mi, fa, sol b, sol , la b, la, si b, si

Libri utili:
Ligeti - Autori Vari
György Ligeti: Études pour piano, premier livre - Le fonti e i procedimenti compositivi - Alessandra Morresi
Lei sogna a colori? - Gyorgy Ligeti, Eckhard Roelcke

Puoi comprare lo spartito qui:
Ligeti - Etudes pour piano - deuxième livre - SCHOTT

giovedì 27 dicembre 2007

Dialoghi Sacri 1

domenica 30 settembre 2007

(22.57) V: Se qualcosa è vera per te, puoi fare finta che sia vera.

(22.57) M: Appunto.

(22.58) V: Una volta ragionavo completamente in questi termini... non è un modo sbagliato, ma è impossibile. Non è così che, "insomma", si vive. Poi si finisce per capire che il modo giusto di vivere è quello abituale, del "senso comune". Ed è davvero giusto! Tu credi che tutto sia soggettivo?

(22.59) M: No, non tutto.

(22.59) V: Cosa non lo è?

(22.59) M: Anzi voglio dire che... Sì, tutto è soggettivo.... ma non dovrebbe essere così.

(22.59) V: Questa frase è stupenda, me la segno.

(23.00) M: Ti faccio un esempio: se io adesso ti dico che per me è giusto che gli ebrei non debbano esistere sulla faccia della terra e tu pensi il contrario, allora questo è soggettivo... ma non dovrebbe esserlo... Comunque penso che l'esempio sia superfluo perché già avevi capito.

(23.02) V: Fammi pensare...una volta un mio amico mi disse una cosa che per me si rivelò molto importante. Come te, come molti, immaginavo che tutto fosse soggettivo. Questo che vuol dire? Che non esistono dati oggettivi. Non è così, anzi, probabilmente è malato pensarla così. Credi piuttosto che i dati oggettivi esitono, ma non è dato all'uomo conoscerli. Ti va bene?

(23.03) M: Sì, lo accetto.

(23.03) V: E' una cosa carina che permette di vivere meglio.

(23.03) M: Diciamo che non l'avrei mai pensata una frase così, però mi trova d'accordo.

(23.03) V: Forse neanche io. Ora, per la questione degli ebrei, potresti essere d'accordo o no, come per tutte le cose: aborto sì no, mono poli gamia, eutanasia, fascismo, comunismo, religione, Dio ecc. Molto dicono: "puoi pensare ciò che vuoi, solo bisogna argomentare le tue opinioni". Sei d'accordo?

(23.04) M: Mi pare ovvio.

(23.04) V: Davvero? Io no, per niente. Ho sempre odiato questo modo di ragionare. Pensa se una persona si ritrova con una idea che prendiamo come fondamentalmente corretta, ma non sa argomentare quest'idea. Perciò l'idea sarebbe sbagliata? E se invece è un bravo oratore, diventa corretta? Sono così labili queste teorie umane che si basano non sulla loro effettiva validità, ma sul modo in cui viene presentata questa validità?

(23.05) M: Placati.

(23.06) V: Volevo solo concludere...!

(23.06) M: Stiamo parlando di una situazione in cui vi è un dialogo fra due persone che ipoteticamente hanno idee diverse.

(23.06) V: Appunto, non c'è nulla da argomentare. E' inutile, le idee sono arbitrarie, sempre.

(23.07) M: Secondo me no.

(23.07) V: E' la naturale soluzione del pensiero "tutto è soggettivo" (ma non dovrebbe essere così!).

(23.08) M: Sì vabbè ma tutto è soggettivo, però mi vuoi dire perché la pensi così? Se nessuno spiegasse il motivo delle proprie idee saremmo tutti a un livello talmente basso... Io non saprei cosa pensare...
Le cose si imparano e da chi le impari se nessuno te le spiega?

(23.08) V: Non si impara nulla.

(23.08) M: Eh già...

(23.09) V: Non si impara nulla perché non c'è nulla -di importante- da imparare


-quante sciocchezze si dicono in 12 minuti?-

martedì 25 dicembre 2007

Niente, niente, niente...


Non sto pensando a niente (Fernando Pessoa)

Non sto pensando a niente,
e questa cosa centrale, che a sua volta non è niente,
mi è gradita come l’aria notturna,
fresca in confronto all’estate calda del giorno.

Che bello, non sto pensando a niente!

Non pensare a niente
è avere l’anima propria e intera.
Non pensare a niente
è vivere intimamente
il flusso e riflusso della vita...
Non sto pensando a niente.
E’ come se mi fossi appoggiato male.
Un dolore nella schiena o sul fianco,
un sapore amaro nella bocca della mia anima:
perché, in fin dei conti,
non sto pensando a niente,
ma proprio a niente,
a niente...

domenica 23 dicembre 2007

Connessioni

Il 6 Febbraio 1895, Otto arrivò a casa di Nina nel primo pomeriggio. Nina era malata, e costretta a letto. Otto le fece compagnia, e parlarono per qualche ora di Dostoevskij e della tragedia vivente nei suoi personaggi. Poi, Otto divenne irrequieto e distratto; disse a Nina che voleva andarsene, e invece rimase nella camera vicina a quella della malata. Si distese su un divano, tirò fuori di tasca una rivoltella e si sparò nel cuore. Nina accorse, e trovò il cadavere coperto di sangue. Oltre alla rivoltella, alle proprie carte e a qualche vestito, Otto possedeva 77 corone, quanto bastava a malapena per pagargli il funerale. Secondo Alma, avrebbe lasciato anche due righe: "La vita non mi dà più alcun piacere, restituisco il mio biglietto d'ingresso".
Q. Principe, Mahler. La musica tra Eros e Thanatos, Bompiani, 2003, pagg. 536

Io non voglio l’armonia, non la voglio per amore verso l’umanità. Preferisco che le sofferenze rimangano invendicate. Rimarrei piuttosto col mio dolore invendicato e col mio sdegno insaziato, anche se avessi torto! Troppo poi si è esagerato il valore di quell’armonia, l’ingresso costa troppo caro per la nostra tasca. E, perciò mi affretto a restituire il mio biglietto d’ingresso. E, se sono un galantuomo, ho l’obbligo di restituirlo al piú presto possibile. E cosí faccio. Non è che non accetti Dio, Aljòsa, ma Gli restituisco nel modo piú rispettoso il mio biglietto.

– Questa è una rivolta, – disse Aljòsa piano, con gli occhi a terra.
F. M. Dostoevskij, I fratelli Karamazov, Garzanti, 1979, vol. I, pagg. 262

sabato 22 dicembre 2007

Ursetz

Ho letto alcune cose interessanti*, e volevo rendervi partecipi di un universo musicale spesso non affrontato.

N. Chomsky è un linguista, H. Schenker è stato un teorico della musica. Intrecciare i loro pensieri non solo è possibile, ma genera anche delle interessanti considerazioni.
Chomsky e Schenker credono che il comportamento umano debba avere alla base la capacità di formare delle rappresentazioni astratte. Vediamo su cosa si fonda il loro ragionamento.

  • Secondo Chomsky tutti i linguaggi naturali hanno, a livello profondo, la stessa struttura
  • Secondo Schenker tutte le composizioni musicali hanno, a livello profondo, lo stesso tipo di struttura
Simili, no? Gli studi di questi due illustri personaggi portano alla considerazione che nel linguaggio c'è una differenza tra struttura di superficie e struttura di profondità, in pratica tra CIò CHE è e CIò CHE VUOL DIRE.

Chiamiamo la struttura di profondità Ursatz. Il metodo Schenkeriano, diventato famoso soltanto negli ultimi tempi, si basa nella riduzione della composizione fino a trovarvi lo scheletro armonico. Nel metodo Chomskyano possiamo identificare l'Ursatz come il significato della frase.

Lasciamo stare le considerazioni più tecniche, il mio interesse è usare queste strutture in relazione alla musica moderna, e riesco a farlo in parte alla fine dell'intervento.

Noam Chomsky al World Social Forum di Porto Alegre (Brasile)

E' interessante notare che l'Ursatz musicale può condensare anche un centinaio di note in un solo rapporto armonico. Possiamo dire che l'Ursatz, quindi, nel linguaggio musicale "condensa", mentre nel linguaggio delle cose è espansivo. Il concetto "Oggi Giovanni andrà a mangiare carne pesce e piselli" ha come Ursetz all'incirca la frase "Oggi Giovanni andrà a mangiare carne, andrà a mangiare pesce, andrà a mangiare piselli". Questa la sostanziale differenza tra il -significato profondo- dei due linguaggi.



Nel linguaggio parlato l'Ursatz è un punto di arrivo, mentre nella musica è un punto di partenza. Dopo varie trasformazioni nel primo caso avremo una frase perfettamente comprensibile che si può usare chiaramente senza problemi, ed è forse la più completa (anche se non la più sintetica, come abbiamo visto). L'interesse per un mero "scheletro musicale" è invece nullo. Il mio Maestro di armonia mi disse una volta: "tutta la musica non è nient'altro che PRIMO - QUINTO - PRIMO", che sta a dire "distensione - tensione - distensione". Tutta la musica tonale, ovviamente, cioè tutta la musica con delle relazioni armoniche. Se i compositori facessero caso solo all'Ursatz scriverebbero composizioni identiche. In realtà la musica è composta più che altro di strato superficiale (Foreground), ovvero da tutte quelle note che non fanno parte della struttura interna, ma che ne determinano in un qualche modo il valore. Per questo possiamo considerare l'Ursatz in musica il punto di partenza: una volta che il compositore l'ha ben chiaro nella sua mente, deve aggiungere la superficie, ed è questo l'unico modo per creare una composizione originale.

Ma...sempre e solo nel sistema tonale...!

A quanto pare il metodo Schenkeriano, particolarmente utile per l'analisi armonica di un brano, perde completamente valore quando passiamo ai brani del Novecento. In realtà il concetto di Ursetz come struttura di profondità può ancora essere usato per portare ad una interessante considerazione. Nelle musiche tonali l'Ursetz ha sempre uno spazio distinto. E' chiaro, quindi è in messo da parte, proprio per la sua immutabilità di PRIMO QUINTO PRIMO. Nella musica moderna no: se tutti i rapporti armonici tensivi sono annullati, la cosa più importante è proprio lo schema profondo, mentre la superficie in genere (e almeno teoricamente) perde la sua valenza. Mentre prima non era importante CIò CHE è, ma CIò CHE SI SENTE, ora diventa sempre più importante CIò CHE è, mentre l'udibile è sottovalutato.
Non generalizziamo, certo.
Ma sembra proprio che la storia della musica moderna sia la storia della struttura profonda delle composizioni che pretende autonomia, sempre più violentemente, a scapito degli altri fattori.

In realtà ci devo pensare su ancora un po'.



*John A. Sloboda - La mente musicale - Ed. Il Mulino 1988